venerdì 26 luglio 2013

Il Blog va in ferie!

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mercoledì 24 luglio 2013

GUIDA: I colori trasparenti

Fig.1 - Legnano Gran Premio 1958
Più che una Guida, questo articolo vuole far chiarezza su un tipo di colorazione che talvolta ci capita di incontrare su alcune bici: i colori trasparenti.
Il più celebre è sicuramente il Verde Legnano. Non si tratta di un vero e proprio colore, bensì viene ottenuto mediante una tecnica ben precisa: si dà una base di argento metallizzato e successivamente si passa una mano di trasparente macchiato del colore che si vuole ottenere... quel che ne risulta è un colore metallizzato dall'effetto ottico quasi vellutato, ricco di sfumature.
Ottenere questa colorazione necessitava di una elevata maestria, il perchè si utilizzasse questa tecnica così dispendiosa anzichè utilizzare direttamente un colore metallizzato ha una doppia spiegazione: la prima, come abbiamo già visto, era per motivi estetici, la seconda per motivi pratici ed economici, negli anni 30/40 le biciclette erano quasi tutte nere per un motivo semplice, le vernici colorate costavano di più, i metallizzati dunque risultavano ancora più costosi e probabilmente la scelta di vernici metallizzate del tempo era assai ridotta... per cui utilizzando questa tecnica bastava disporre del solo argento metallizzato e con poche dosi di vernici pastello si potevano ottenere vaste gamme di colori metallizzati!
Ovviamente, la Legnano fece del suo famoso verde un icona, ma non fu l'unica marca che fece uso di questa particolare tecnica, specialmente per distinguere i propri modelli da corsa, tra le più famose ricordiamo la Dei (verde) negli anni 30, Amerio e Maino (ciclamino) anni 40/50, ma anche molti marchi minori a artigiani.
Il tempo ci ha però insegnato che queste colorazioni hanno un difetto: l'usura.
Il trasparente finale, essendo appunto un trasparente, con il tempo tende ad assorbire impurità e sporco e a far mutare la tonalità della tinta, inoltre essendo composto da uno strato molto sottile, tende a consumarsi facendo affiorare la base argento.
Prendendo come esempio il Verde Legnano, in origine questo colore risulta essere un verde acido intenso, lievemente tendente al giallo (vedi Fig.2 e 3), un colore che oggi potremmo definire Lime... ma è molto facile vedere esemplari, anche ben conservati, con il colore tendente a varie tonalità di giallo, ocra, champagne, (Fig.4 e 6) questo spesso avviene quando la bici è stata conservata per anni sporca o unta, le impurità presenti nello sporco e nel grasso sedimentato sul telaio intaccano il colore-trasparente modificando la tonalità.
In altri casi possiamo vedere Legnano il cui colore risulta molto chiaro e in alcuni punti la base argento è completamente affiorata (Fig. 5), questo al contrario avviene quando la bici ha subito troppa pulizia in passato, magari impiegando soluzioni abrasive che hanno poco a poco eliminato lo strato superficiale di colore-trasparente facendo affiorare la base.
Le Fig. 8 e 9 in fondo all'articolo riportano una bicicletta che mostra entrambi i processi, sicuramente è stata soggetta a fin troppa pulizia in passato che ne ha eliminato il colore rosso originale, lasciandolo intatto solo nei punti meno esposti, e addirittura facendo affiorare l'argento di base in alcune parti, dopodiche ciò che rimaneva del sottile strato di colore è stato intaccato dal tempo e dallo sporco mutandolo in una tonalità simile al giallo.
Questa lungo, ma doveroso incipit, serve a mettere in guardia l'occhio poco esperto nel valutare erroneamente il colore di una bici... ad esempio, vedendo le foto in Fig. 8 e 9 si potrebbe pensare che la bici sia stata verniciata più volte e riscontrando il color argento come colore finale fra gli strati, saremmo portarti a pensare che sia appunto l'argento il colore originario della bici, dovendo eliminare in fase di restauro i colori successivi. Tutto ciò ci introduce a piccoli consigli su come operare su queste delicatissime vernici.
Quando dobbiamo effettuare un restauro conservativo su di un telaio verniciato con questa tecnica è sempre bene avvalersi di maggiore cautela del solito, cercando di non insistere troppo con materiali e prodotti abrasivi che possono ridurre lo strato di colore facendo affiorare l'argento, cerchiamo piuttosto di pulire la superfice con sgrassatori e panni morbidi o comunque poco abrasivi. 
Invece nel caso di telai molto sporchi e con colore molto alterato, come ad esempio nella Fig.6 è necessario insistere con materiali abrasivi (tipo paglietta metallica 0000) e solventi (tipo Benzina, Gasolio o WD40), in quanto è necessario rimuovere lo strato di sporco sedimentato, inoltre una piccola operazione abrasiva potrebbe garantire l'asportazione dello strato superficiale di trasparente sporco facendo affiorare ancora il colore originale, ovviamente procedete comunque con cautela, magari provate preventivamente i materiali e i prodotti in parti del telaio meno esposte come la parte inferiore della scatola del movimento centrale. 
Menzione finale riguardo ai restauri integrali, riprodurre oggi questi colori per riverniciare la propria bici è molto difficile, si contano sulle dita di una mano i verniciatori in Italia che sanno (o hanno tempo) di eseguire una tecnica di verniciatura di questo tipo, inoltre non trattandosi di un vero e proprio colore non è possibile campionarlo con precisione, sarebbe necessario quindi fare delle prove colore fino ad ottenere la giusta tinta... per cui a meno di affidarsi a mani esperte e competenti si rischia di farsi verniciare la propria bici in maniera grossolana e approssimativa, pertanto come spesso consiglio, se potete, procedete verso un restauro conservativo.
Fig.2 - Verde Legnano perfettamente conservato
 Fig.3 - Verde Legnano perfettamente conservato 
Fig.4 - Verde Legnano con variazione di colore dovuta a sporco e impurità
 Fig.5 - Verde Legnano sbiadito e con base argento parzialmente a vista
 Fig.6 - Verde Legnano con variazione di colore dovuta a sporco e impurità 
 Fig.7 - Rosso Ciclamino (Amerio e Quattrocchio, anche Maino negli anni 50 come colore optional) 
 Fig.8 - Verde Umberto Dei corsa anni 30 
 Fig.8-9 - Esempio di Rosso trasparente parzialmente mutato in giallo e con zone da cui affiora l'argento di base 

lunedì 22 luglio 2013

Secondo Barisone

Già di per se è un gran bel vantaggio abitare a Novi Ligure, crocevia di gran parte dei tempi d'oro del ciclismo italiano, ancora più di lusso se tra i tuoi più cari amici c'è Serena, la nipote di Secondo Barisone. Quindi è ghiotta per me l'occasione per dedicare questo articolo ad una delle figure più rappresentative del ciclismo del dopoguerra, il ciclismo della rinascita che trainò un Italia deturpata lontano dai tempi cupi della guerra, tal Secondo Barisone, che a dispetto del nome di battesimo...andava forte e parecchio, una classe e un talento esploso così in fretta da appassire con altrettanto tempismo.
Secondo Barisone nasce a Pozzolo Formigaro in provincia di Alessandria il 29 marzo del 1925, già a quindici anni, nel 1940, stacca la sua prima licenza da Allievo, entra nel giro di Biagio Cavanna, il masseùr dei Campioni, già scopritore di Coppi, che ai tempi seguiva lo squadra dilettantistica SIOF.
Nel 1945 la Siof nonostante fosse una società di dilettanti assume i connotati di uno squadrone, ne avevo già parlato in un vecchio articolo, annoverando fra le sue fila futuri professionisti di spicco tra i quali i celebri gregari coppiani Ettore Milano e Andrea Carrea. Ma un Barisone ancora diciannovenne si mette subito in luce vincendo a sorpresa il Giro del Piemonte del 1945! In fondo a questo articolo troverete un bellissimo stralcio di articolo del celebre vignettista di Tuttosport Carlo Carlin Bergoglio che parla proprio della vittoria a sorpresa di Barisone al Giro del Piemonte del '45.
Sempre nello stesso anno è terzo alla Coppa Bernocchi, i giornali ne parlano, gli appassionati si domandano chi fosse costui e le squadre professionistiche iniziano a sondare il terreno, la spunta la Bianchi che lo ingaggia subito per la stagione 1946. Così il giovanissimo Secondo Barisone fù il primo dello squadrone Siof a passare professionista, con un Cavanna che già si sfregava le mani al sol pensiero di aver centrato per l'ennesima volta il bersaglio piazzando un proprio allievo nel firmamento del ciclismo che conta.
Più in basso si vede la foto di gruppo della squadra Siof, con al centro un Barisone che sfoggia la maglia Bianchi.
Con lo squadrone Bianchi ci si attende l'esplosione definitiva di questo talento, ma il passaggio al professionismo non dà i frutti sperati, nonostante un ottimo 19° posto al Giro d'Italia del 1946, le prestazioni generali sono incolore, il talento cristallino di Barisone era direttamente proporzionale ad un carattere particolare, ribelle e poco incline al rispetto delle regole e delle gerarchie, sapeva di andare forte, spesso più forte di chi sfoggiava un cognome roboante come Coppi, insopportabile per uno spirito libero dover assecondare i normali ordini di scuderia... entrò in rotta con la dirigenza e dovette lasciare la Bianchi in un destino che ricorda per certi aspetti le gesta che vedranno pochi anni dopo Loretto Petrucci.
Si accasò alla Welter nel 1947, raggiungendo i conterranei Osvaldo Bailo e Malabrocca, agli ordini di Giulio Bresci capitano, ma tutto si conclude in un 33° posto alla Milano-Sanremo e un 47° al Giro.  Nel 1948 passa alla torinese Edelweiss assieme a Luigi maglia nera Malabrocca dove correrà per due stagioni, ma con risultati deludenti.
Nel 1950 dopo una brevissima carriera che pare già destinata a concludersi la scelta di partire per l'Argentina nel tentativo di iniziare una nuova vita, non solo sportiva. In Argentina il ciclismo è apprezzatissimo e molti ciclisti di fama compiono sporadiche tournèe in Sud America partecipando a manifestazioni locali profumatamente retribuite.
In Argentina corre da Indipendente, e inaspettatamente conquista la Coppa Peròn, la corsa ciclistica più importante del paese, ricevendo il premio direttamente dalle mani del comandante Peròn.
Nel 1951 fà una breve apparizione nel panorama ciclistico francese correndo per un pò per la General-Cycles e vincendo una corsa in Costa Azzurra.
La carriera di Barisone termina praticamente qui, iniziata sotto la buona stella pochissimi anni prima e con un fulgido futuro davanti, tutto si spense inaspettatamente in fretta... come abbiamo già visto in molti altri casi, il talento spesso non è sufficente a reggere una carriera importante, Coppi era un esempio in questo, forse non fù il più forte e nemmeno il più veloce, ma nessuno come lui sapeva unire un talento innato con testa e sacrificio d'atleta, ma il ciclismo è bello anche per questo... la storia stessa del ciclismo è fatta di tanti Secondo Barisone che con i loro exploit hanno saputo rendere dinamico e avventuroso il ciclismo di quegli anni.
Grazie a Serena e alla famiglia Barisone per i documenti che mi hanno gentilmente concesso e che ho pubblicato per la prima volta in questo articolo.















giovedì 18 luglio 2013

Bianchi Pista 1967 Rudi Altig

Sempre durante la retata giornalistica fatta al Museo di Novi ho scattato le foto particolareggiate della Bianchi da pista del 1967 appartenuta a Rudi Altig, il grande campione tedesco della Salvarani.
La bici passando di mano in mano ha sicuramente subìto del maneggiamenti alla componentistica, come ad esempio il manubrio e pipa regolabile 3T, bellissimo, ma sicuramente successivo all'epoca della bici, il resto invece pare originale, con qualche riserva per la guarnitura, mentre altre sono certamente originali come le ruote e la sella Ottusi.
Ma il bello delle bici da pista sta nel telaio e nelle sue meravigliose finiture, per cui evitiamo di soffermarci troppo sulle componenti e analizziamo il telaio.
La forcella è nel classico stile Bianchi, sotto la testa è ricavata la classica fresatura in corrispondenza del punto di rotazione del tubolare, per far sì che questo non vada a toccare, sul retro della testa è ricavato uno svuoto di alleggerimento dipinto in smalto blu, lo stesso trattamento hanno ricevuto i fazzoletti di rinforzo posti all'interno dei foderi della forcella.
Le congiunzioni del telaio sono ridotte al minimo indispensabile per tenere uniti i tubi e limate il più possibile per abbattere peso, sono talmente limate e fini che passando il dito fra tubo e congiunzione si sente a malapena lo "scalino".
Il resto del telaio non presenta caratteristiche dissimili dalle altre Bianchi Reparto Corse, forse l'unico dettaglio degno di nota è la strana nervatura del carro in corrispondenza del punto di scorrimento della corona, strana perchè è doppia... lo si vede bene in foto in quanto come consuetudine sono dipinti di blu, la prima, la più lunga coincide con la normale posizione in prossimità della corona... ma spostandoci di pochi centimetri verso la scatola del movimento centrale ne troviamo una seconda, più piccola e all'apparenza inutile in quanto in quel punto non scorre nulla che possa toccare contro il telaio, l'unica cosa che mi viene da pensare è una sorta di nervatura aggiuntiva per rendere piu rigido il carro in un punto potenzialmente delicato (??).
Ultimo particolare, il tubo piantone molto esile da 25, come evidenziato dal reggisella Campagnolo. 

lunedì 15 luglio 2013

Stucchi anni 60

Da Cristiano le foto di questa bellissima ed interessante Stucchi da corsa dei primi anni 60.
L'analisi di questa bici ci dà lo spunto per fare un pò di luce sulle condizioni del mercato velocipedistico degli anni 50/60... infatti Stucchi nel dopoguerra risulterà essere un marchio totalmente ridimensionato, considerando i fasti del primo 900 che vedevano il marchio milanese fra le fabbriche di cicli più rinomate e blasonate.
Con il trascorrere degli anni 50, come avvenne per gran parte dei costruttori di biciclette, il boom economico obbligò molti marchi a produrre bici sempre piu economiche tamponando il bagno di sangue commerciale causato dall'avvento di scooter e automobili, anche la Stucchi, nonostante timidi tentativi di rilanciare il marchio con modelli ricercati e di lusso, dovette adeguarsi.
Non è nemmeno da escludere che nei primi anni 60 il marchio venne addirittura rilevato, spostando la produzione in locali più ridotti, divenendo quasi una bottega di riparazione cicli e produzione semi artigianale (ma queste sono solo congetture ovviamente),  fatto sta che i primi anni 60 vedono le biciclette Stucchi molto economiche, paragonabili a biciclette di produzione locale, spesso assemblate su telai Rizzato e componenti generici, questa bici di Cristiano, però, è una interessante eccezione... si tratta infatti di una bicicletta di gamma molto alta, costruita con una cura e un abilità artigianale elevata, utilizzando congiuzioni Cinelli e tubi Columbus. 
E' dunque probabile che questo telaio sia stato fatto da un telaista esterno, magari un telaista milanese di fama, destinato forse ad allestire la bicicletta di un Dilettante del tempo.
Molti marchi infatti si affidavano a telaisti esterni per farsi realizzare telai speciali che poi venivano verniciati e marcati, era una pratica molto diffusa non solo tra i marchi locali e tra i negozianti, ma anche fra i grandi marchi che per certe lavorazioni di fino dovevano affidarsi per forza di cose a mani più specializzate.
L'indole corsaiola di questa bicicletta la si vede anche nella componentistica di alta gamma e da certi accorgimenti tipici delle corse come gli alleggerimenti nella pipa manubrio, chiaro segnale che questa bici ha corso a buoni livelli.